Malattie infiammatorie croniche intestinali IBD

da | Dic 6, 2018 | Blog

1-7 dicembre 2018, settimana dedicata alle malattie infiammatorie croniche intestinali, colite ulcerosa e morbo di crohn. Colgo l’occasione per spendere due parole, si tratta di malattie invalidanti, per cui le terapie convenzionali con corticosteroidi, immunosoppressori, antibiotici e i più nuovi farmaci biologici non sono sufficienti a migliorare la qualità di vita delle persone che ne soffrono.
Fasi acute e fasi di remissione richiedono aggiustamenti terapeutici e soprattutto una gestione alimentare che possa ridurre i sintomi e sostenere la remissione, nonché agire in ottica preventiva.
Di fronte ad uno scenario in cui il farmaco non basta, credo sia doveroso dare il giusto spazio all’alimentazione e al suo potenziale terapeutico.

Le malattie infiammatorie croniche intestinali (Inflammatory bowel disease – IBD) sono malattie ad eziopatogenesi multifattoriale.
Si presentano in individui geneticamente predisposti in cui fattori ambientali (dieta, stile di vita, stress, sonno, relazioni, riposo), il microbioma e l’attivazione immunitaria interagiscono nell’insorgere della malattia.

Sono stati identificati oltre 200 geni legati alla modulazione della risposta immunitaria come la regolazione delle cellule T, delle Treg, delle citochine infiammatorie, dei PRR (pattern recognition receptor) che sono in grado di attivare la cascata infiammatoria (attraverso il pathway Nf-kb).

Il microbioma in soggetti sani è di vitale importanza per il mantenimento dell’integrità di barriera intestinale, produce acidi grassi a corta catena con azione trofiche e metaboliche, favorisce un’adeguata produzione di muco, modula la riposta immunitaria ed infiammatoria e influenza innumerevoli funzioni metaboliche ed enzimatiche (metabolismo di tossine, ormoni, farmaci, enzimi atti alla digestione e assorbimento dei nutrienti…).

Quando invece ci troviamo in una condizione di disbiosi tutte queste funzioni vengono meno, il batteri “cattivi” possono produrre gas e tossine che attivano ulteriormente la risposta immunitaria (in particolare delle popolazioni th1, th17 e una riduzione dei treg).
Le scelte alimentari hanno un’enorme influenza sull’eubiosi, ovvero l’equilibrio tra popolazioni batteriche (e non solo, virus, funghi, elminti).
Le IBD sono spesso associate a stati di disbiosi, aggravati dall’infiammazione, che insieme possono peggiorare il danno della muscosa e/o parete intestinale.
Nei pazienti con IBD sono state riscontrate alterazioni del microbioma quali la riduzione della diversità batterica, aumento di alcuni ceppi E.Coli ed Enterobatteriacee, presenza di una sovra crescita funginea da candida e saccharomyces, presenza di virus ed elminti con conseguente reattività immunitaria.

Il quadro nutrizionale di un paziente con IBD risulta di conseguenza molto delicato.
La valutazione dello stato nutrizionale è di primaria importanza, così come un’attenta anamnesi dietetica e della correlazione tra cibo e alimenti, un’accurata indagine dei sintomi prevalenti e uno sguardo di insieme degli esami ematochimici e diagnostici (con la collaborazione del medico curante).

I sintomi prevalenti sono comuni a colite ulcerosa e morbo di crohn (mentre la colite ulcerosa interessa prevalentemente il colon ed il retto, nel morbo di crohn la malattia interessa tutto il tubo digerente, dalla bocca all’ano e l’interessamento del danno coinvolge tutta la parete intestinale):
– Diarrea
– Bisogno urgente di evacuare
– Nausea
– Crampi e dolori addominali
– Presenza di sangue con le feci
– Sanguinamento rettale
– Sensazione di incompleta evacuazione
– Stipsi (in caso di interessamento rettale nella colite ulcerosa oppure causata da ostruzione)
– Vomito (in caso di crohn ad interessamento gastro intestinale)
– Riduzione dell’appetito
– Perdita di peso
– Febbre
– Stanchezza
– Sudorazione notturna
– Alterazioni del ciclo mestruale
– Ansia

I pazienti con IBD sono a rischio di malnutrizione sia per l’entità e localizzazione del danno intestinale e conseguente malassorbimento, sia per ridotto appetito e/o paura del cibo.
Quest’ultimo aspetto è molto importante in quanto molti pazienti iniziano ad eliminare una serie di alimenti e sono terrorizzati al solo pensiero di mangiare qualcosa che possa provocare il sintomo o scatenare una scarica e/o il dolore lancinante.
Le carenze più frequenti sono quelle di minerali e vitamine: ferro, calcio, zinco, magnesio, vitamina D, A, B12, e acido folico. Da non sottovalutare uno scarso apporto energetico, di aminoacidi e acidi grassi essenziali con una slatentizzazione del processo di remissione.
Tra le conseguenze degli stati carenziali; anemia, stanchezza, osteopenia, irritabilità, confusione mentale, scarsa capacità di reagire allo stress (fisico, biologico, psicologico), riduzione delle difese immunitarie.
A questo si aggiungano gli effetti collaterali dei farmaci.

L’approccio al paziente deve essere delicato, perché tale è la persona che abbiamo di fronte. Ogni fase della malattia deve essere accompagnata da scelte alimentari che permettano di sostenere lo stato nutrizionale e contenere i sintomi, per poi raggiungere con gradualità e pazienza un equilibrio alimentare che comprenda la più ampia varietà di cibi meglio tollerati per quel paziente (per alcuni potranno essere 100, per altri 70, per altri 10…).

La dieta è tra i fattori eziopatogenetici e scatenanti la malattia.
La “western diet” si basa su un consumo eccessivo di zucchero, bevande zuccherate (cola), grassi saturi di cattiva qualità, proteine animali (spesso carni processate), acidi grassi trans (grassi idrogenati di natura industriale), acidi grassi omega 6 (oli vegetali raffinati) ed uno scarso se non nullo apporto di fibre, minerali, vitamine antiossidanti ed acqua.
La “western diet” è un fattore di rischio non più trascurabile. La prevalenza di IBD sta aumentando anche in paesi in cui nel passato non era presente proprio in concomitanza con un radicale cambiamento delle abitudini alimentari e dello stile di vita verso l’occidentalizzazione.

In letteratura sono riportati diversi approcci dietetici con un buon successo nei pazienti IBD, sia sui sintomi, sia sulla effettiva remissione della malattia.
Il denominatore comune di questi approcci è il potere anti infiammatorio del cibo e la modulazione delle fibre e dei carboidrati fermentiscibili.
Tra questi approcci la SCD (specific carbohydrate diet), la dieta semi vegetariana, la dieta low-FODMAP ed il protocollo autoimmune.

In acuto i pazienti tollerano molto poco, in alcuni casi, soprattutto pediatrici, è consigliata la nutrizione enterale. Nell’adulto è necessario ridurre/eliminare le fibre e supportare idratazione, integrazione minerale e vitaminica, cercando di fornire i nutrienti essenziali.
Paradossalmente alcuni cibi in genere consigliati con moderazione, possono invece essere tra i pochi cibi tollerati, come ad esempio il prosciutto crudo.
Di grande aiuto il brodo d’ossa, da usare a dosi terapeutiche.

Passo passo si vanno a reintrodurre gli alimenti con un’attenzione particolare alle fibre ed ai carboidrati fermentiscibili, a quei cibi pro infiammazione ed immunogeni e a quelle molecole che potrebbero essere utilizzate “male” da un microbioma alterato (come cibi con elevato contenuto di zolfo quali crucifere, asparagi, cipolle, frutta essicata, alimenti conservati, eccessivo consumo di carne rossa, alcol, latte e latticini).
Questo perché in uno stato di disbiosi e di infiammazione le fibre non digerite arrivano al colon dove nutrono anche le popolazioni “cattive” causando un aumento della produzione di gas e tossine. Molecole irritanti ed immunogene possono rallentare il processo di remissione e mantenere attive infiammazione ed immunità.

Inizialmente l’apporto di fibre viene quindi contenuto, in particolare quei cibi ad alto contenuto di FODMAP: fruttosio, lattosio, crucifere, aglio, cipolla, asparagi, carciofi, mele. La quantità e la progressione seguiranno la tolleranza individuale.
È importante inoltre la modalità di preparazione delle verdure: da evitare verdure bollite, minestroni, legumi, poiché si tratta di alimenti vegetali ricchi di fibre ed imbibiti di acqua. Molto più tollerate le cotture al vapore, ripassate in padella, al forno, in modo tale da eliminare buona parte dell’acqua.

Per favorire il ripristino della muscosa intestinale e quindi avere un’azione trofica è utile introdurre grassi a corta catena come quello contenuti nel ghee (burro chiarificato), nell’olio di cocco (biologico ed extra vergine o vergine) e nel tuorlo delle uova.
Il brodo d’ossa fornisce aminoacidi utili al trofismo dei colonociti (cellule del colon): glicina, prolina, idrossiprolina, glutammina.

Nella fase iniziale la dieta prevede l’esclusione di glutine, latticini, legumi, alcuni vegetali appartenenti alle solonacee (pomodori, patate con la buccia, peperoni, melanzane, bacche di goji) ed i lieviti (oltre ai panificati lievitati, latticini, yogurt, alcolici anche funghi e alimenti conservati, aceto). In alcuni casi potrebbe essere necessario ridurre anche i cibi ad alto contenuto di istamina, zolfo e nichel.

Le scelte alimentari dovranno vertere strategie anti infiammatorie: un buon bilanciamento tra acidi grassi omega 3 ed omega 6, il controllo insulinemico, la ricchezza di antiossidanti ed anti infiammatori naturali (vitamina C, E, A, selenio, betacarotene, zenzero, curcuma, erba tulsi per nominarne alcuni).

Gradualmente in fase di remissione e miglioramento dei sintomi si potranno ampliare scelte alimentari colte alla maggior varietà possibile, si potranno testare alcuni latticini preferibilmente di capra o pecora, avena o pane di grano duro o di farro ben tostato (per inattivare i lieviti che potrebbero dare fastidio).

Un recente studio, pubblicato a novembre del 2017, seppur in un piccolo campione di pazienti, ha dimostrato un’ottima risposta dei pazienti con colite ulcerosa e morbo di crohn al protocollo autoimmune per 6+5 settimane (così come è stato pensato da S.Ballantybe). Miglioramento dei sintomi e della clinica (calprotectina fecale, proteina c reattiva e colonscopia) in 11 pazienti su 15.

Il protocollo nella fase di eliminazione prevedeva l’esclusione di: glutine e cereali, legumi, latticini, solonacee, noci e semi, uova, zucchero, oli raffinati, conservanti, alcol, caffè, cioccolato.
Si basava su alimenti ad alta densità nutrizionale: brodo d’ossa, vegetali adeguatamente preparati, pesce, carne, frattaglie, grassi di buona qualità.
I pazienti avevano inoltre ricevuto un’integrazione di ferro e vitamina D.
Durante lo studio era stata posta particolare attenzione allo stile di vita, in particolare alla gestione dello stress, al sonno, all’attività fisica.

Si stanno inoltre studiando quali possibili integrazioni possano aiutare e supportare pazienti con IBD.
Dato il fragile stato nutrizionale è sempre meglio indagare stati carenziali di vitamine e minerali ed agire di conseguenza.
È ancora dibattuto il ruolo di pre e probiotici, anche se alcuni studi riportano risultati positivi sulla modulazione dell’infiammazione e dell’immunità con alcuni ceppi specifici come i lactobacilli ed i bifidi ed il Faecalibacterium prausnitzii, con l’utilizzo di prebiotici (glucomannanno, beta glucano, inulina, FOS) e con il più recente trapianto fecale.
Nella colite ulcerosa sembra essere utile l’integrazione con E.Coli di Nissle (con o senza mesalazina).
Probiotici e prebiotici vanno consigliati con estrema attenzione perché potrebbero peggiorare la situazione a seconda dello stato del paziente. Assolutamente sconsigliato il fai da te.

Tra gli studi più recenti avanzano prospettive per ciò che concerne i functional foods. Si tratta di molecole bioattive vegetali: estrattidi piante, polifenoli, acidi grassi, aminoacidi.
Per citarne alcuni: bacche e frutti di bosco, melograno, zenzero, resveratrolo, polifenoli della mela, sulforafano, curcumina, EPA e DHA, acido linoleico coniugato, SCFA (acidi grassi a corta catena), glutammina e L-carnitina.
Per alcuni di questi è presente una fondata evidenza scientifica per il ruolo anti infiammatorio, come la curcumina e gli omega 3 EPA e DHA, e per il ruolo trofico come glutammina e acido butirrico.
Si tratta tuttavia di integrazioni che vanno personalizzate e contestualizzate bene prima di consigliarle.

Questo articolo per sottolineare quanto sia importante l’alimentazione per un paziente con una malattia infiammatoria cronica intestinale, quanto sia delicato l’approccio da utilizzare e quanto sia necessario dare spazio all’ascolto e alla comprensione di tutto ciò che il paziente porta durante la consulenza (vissuti emotivi, difficoltà, paure, vergogna, disagio…).

Un paziente che impara a gestire i sintomi ed alleviare la sofferenza è un paziente che migliora la sua qualità di vita e magari è un paziente che torna a sorridere.

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